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Inaugurato il 52° Ciclo di spettacoli classici a SIRACUSA

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by Amministratore
18/05/2016
Category:   Eventi

Una stagione tutta al femminile quella del cinquantaduesimo Ciclo di spettacoli classici al Teatro Greco di Siracusa: Elettra di Sofocle, Alcesti di Euripide e Fedra di Seneca le tre opere protagoniste.

Tre donne, tre archetipi, tre metafore della maniera autentica con cui la psiche femminile apprende la vita reale.

 

Elettra

 

Sofocle costruisce la tragedia intorno al dolore ed alla solitudine di Elettra, vera eroina del dramma, la quale, invece di trovare conforto nel ritorno del fratello, subisce, a causa dell’inganno da lui ordito, ulteriori sofferenze. Nel “Monologo dell’urna”, cuore tragico della vicenda che vedrà, infine, realizzato il piano di vendetta della protagonista, ella è in preda al rimorso per aver allontanato Oreste dalla patria nella speranza di salvarlo dalle trame della madre, per averlo costretto all’esilio, culminato con la morte in terra straniera. La sezione conclusiva del monologo ripropone immagini di morte e distruzione, culminando nella macabra richiesta di condivisione della stessa urna del fratello: svanite tutte le speranze riposte in Oreste, ad Elettra resta solo la morte.

L’intenso, esclusivo, legame tra i due evidenzia come Elettra occupi presso il suo giovane fratello il posto della madre dalla quale ha ereditato la natura virile e dominatrice, Elettra, “doppio di Clitennestra” è , allo stesso tempo, il suo opposto.

 

 

Alcesti

 

Euripide sceglie di presentare Alcesti, moglie eroica e donna realizzata, madre devota, prima indirettamente, attraverso il racconto dell’ancella, poi direttamente, nel corso del suo dialogo con Admeto, mentre sta morendo. La drammaticità dell’agonia di Alcesti non ha certo solo una funzione poetica: ella vive la sua morte, è allo stesso tempo viva e morta. La sua è una lenta, lucida agonia che la porta a preparare la casa, stanza per stanza, al proprio lutto, a dire addio ad ogni servo, ad avvisare i suoi figli, a far loro le ultime raccomandazioni, ad annunciare che è morta, ancor prima di esserlo, per poi dir loro addio. Qui il nucleo tragico: Alcesti apprende cosa vuol dire morire e ne farà ammenda al suo ritorno tra i vivi e, senza morire davvero nel tempo del dramma, vive la piena coscienza della propria mortalità.

Non si gioca con la Moira.

L’inusuale sorte riservata a lei, unica, ad accettare di non veder più la luce per il suo amato, ha, doppiamente, un aspetto tragico: non a tutti è dato rivivere, ma Alcesti avrà già vissuto l’esperienza del trapasso e, da mortale, conoscerà per ben due volte l’esperienza della fine.

 

 

Fedra

 

Al suo esordio sulla scena, Fedra descrive la propria condizione esistenziale come caratterizzata da una soffocante, dolorosa costrizione all’interno di uno spazio chiuso e ostile marcato dall’assenza e dall’infedeltà del marito.

Ella non è più in grado di filare la lana, né di compiere i riti religiosi affidati alle donne, altre sono le attività in cui troverebbe piacere: inseguire le fiere messe in fuga e lanciare il giavellotto. E tuttavia, se la Fedra senecana appare fin dall’inizio pervasa dal furor e occupata, come lei stessa afferma, in una sconcertante elusione delle attività riservate alle donne, ciò non fa di lei un personaggio totalmente negativo, una consapevole devastatrice del modello di femminilità considerato ideale e, con esso, dell’ordine sociale che anche su tale modello si regge. C’è un elemento che rende la protagonista del dramma un personaggio estremamente “moderno” e tale elemento consiste nel dubbio morale e nella lacerazione interiore conseguente alla non completa certezza di compiere il male: ciò colloca Fedra in un rapporto problematico tanto con la passione maligna che l’ha invasa, quanto con il modello femminile che essa la spinge a trascurare ed infrangere.

Al pari di Edipo, la storia di Fedra si configura, dunque, come un archetipo che percorre tutta la letteratura universale. Fedra è un personaggio complesso.

Per avvicinarsi al nuovo modello di femminilità che vorrebbe rivestire, Fedra fa appello a diverse figure femminili, prima tra tutte la madre Pasifae. L’infrazione del modello, dunque, non è sistematicamente voluta e perseguita, ma percepita come inevitabile conseguenza di una follia incontrollabile. E se, da un lato, adottare un modello di femminilità alternativo significa, per Fedra, abbandonare gli spazi strutturati della società cui appartiene e di cui è eminente membro, per recarsi a vivere nei boschi, all’inseguimento di un amore illecito, d’altro canto, il nuovo modello di femminilità che Fedra ha in mente prevede una sottomissione totale all’uomo amato, infatti, al fine della piena realizzazione del desiderio amoroso, è per lei assolutamente necessario non partire da una posizione di superiorità rispetto a Ippolito, ma anzi divenirne schiava.

Il modello tradizionale, che permette a Fedra, fiera regina abituata ad imporre il proprio volere su quello altrui ed a non sottomettersi ad esso, di avvicinarsi ad Ippolito, diviene, in questo modo, strumento di distruzione, tanto che, nell’epilogo del dramma, Fedra incesta, pur non avendo rivestito i panni dell’alternativo modello di comportamento da lei agognato, uscita irrimediabilmente dalle coordinate del modello tradizionale, assume su di sé la responsabilità dell’uscita dal modello e decide, conseguentemente di morire, così come è vissuta, per amore.

(…) morere, si casta es, viro,

si incesta, amori (…) (vv. 1184-1185)

Fedra così viene ad essere la prima creatura della poesia antica che porti, o si illuda di portare, romanticamente il suo amore, il suo peccato, al di là della vita.

 

 

Elettra, Alcesti e Fedra, “eroine” ed indiscusse protagoniste della scena, mostrano allo spettatore l’universalità dei conflitti, degli affetti, l’enigmatica condizione e, insieme, la singolare natura femminile. Ascoltare le loro storie, assistere ai loro drammi ci fa affacciare su certi aspetti dell’esperienza psichica profonda e, in questo affacciarci su questi aspetti, noi spettatori, in fondo, ritroviamo una sorta di duplice “risarcimento”: estetico, sospendendoci dalla partecipazione immediata all’esistenza, dalla nostra esperienza individuale, ma anche terapeutico, riconoscendo e comprendendo i tratti più profondi della loro umanità. Ed ecco che, da subito, ci ritroviamo immersi nella scena tragica, per allusioni e rimandi, in un movimento circolare mai concluso, in contatto con i significati più profondi e toccanti della vita umana: la nascita e la morte, il senso del destino, lo trascorrere inesorabile del tempo, il cambiamento personale verso la propria realizzazione o la sconfitta di sé.

 

Articolo: Prof.ssa GRAZIA CASSARISI         Foto: Prof.ssa PUCCI AGLIANO’

(tutti i dirtti riservati / staff MEDITERRANEHOME.com)


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